Capitolo Tre
Mi spostai dalla sua
traiettoria rotolando di lato e cercando di tenere sempre ben stretto
tra le mani il barattolo di latta, ma con scarsi risultati perché mi
scivolò tra le dita rotolando lontano ed io cercai di rimettermi in
piedi il piu in fretta possibile per recuperarlo prima che Jessica
tornasse all’attaco.
Mentre lo zombie
tornava all’attacco, mi scagliai verso la mia arma imprivvisata, ma
l’eccessivo slancio mi fece andare a sbattere contro il ripiano
della cucina cadendo rovinosamente a terra e procurandomi un brutto
taglio sulla fronte. Sentendo Jessica avvicinarsi, strinsi a me la
latta e mi spostai a sinistra proprio nel momento in cui lei mi si
scagliava addosso.
Una volta in
posizione eretta, anche se le mie gambe non mi rendevano molto
stabile, guardai la stacy davanti a me che mi guardava a sua volta
con la stessa espressione di prima. Poi allargò le braccia
all’indietro sporgendo il viso in avanti e ruggi ancora tornando
all’attacco.
Scartai a destra
portandomi dal lato opposto del tavolo mettendo così il mobile tra
di noi sapendo però che non sarebbe bastato per fermarla. Infatti
Jessica cominciò con lentezza a salire sul tavolo per poi strisciare
nella mia direzione.
Avevo solo due
possibilità: prendere la porta alle mie spalle rischiando però di
ritrovarmi in un pericolo maggiore oppure provare a colpire lo zombie
con la latta che tenevo tra le braccia.
Con la coda
dell’occhio provai a sbirciare all’esterno e vidi molte ombre
muoversi scordinatamente, non era saggio uscire. Così studiai con
attenzione la situazione: Jessica era a pochi passi da me, ma l’unico
modo per ucciderla era farla a pezzi, sparargli in tesa o spezzarle
il collo. L’ultima opzione era l’unica che al momento potevo
prendere in considerazione.
La stacy però mi
prese alla sprovvista e si rimise in piedi sopra il tavolo per
concludere gli ultimi passi con i piedi. Indietreggiai un poco come
reazione involontaria.
Poi successe tutto a
una velocità impressionante: la vidi piegarsi su se stessa, lanciare
un grido spaventoso per poi saltare nella mia direzione. Mi spostai
di lato facendola così cadere rovinosamente a terra.
Non so bene cosa
accadde dopo, ricordo solo il momento in cui scagliai lontana da me
la latta e mi rimisi in piedi: senza rendermene conto, mi ero
accanità contro lo zombie colpendolo più volte alla base del
collo. Al terzo colpo aveva gia smesso di muoversi, ma io avevo
continuato a colpirla tanto che la latta si era rotta facendo
rovesciare fuori tutto il suo contenuto, pelati, e la parte affilata
del contenitore era affondata più volte nella carne fragile della
stacy.
Una volta in piedi
mi resi conto dello spettacolo raccapricciante che avevo davanti agli
occhi: il corpo di Jessica era riverso in una posizione decisamente
innaturale, gli arti avevano preso pieghe impossibili; la testa era
voltata di lato, gli occhi erano girati dalla parte bianca, dalla
bocca usciva un rivolo di sangue, i capelli erano sparsi intorno a
lei sporchi del suo stesso sangue; dal taglio nel collo si potevano
vedere bene le ossa oramai spezzate mentre un fiotto rosso scuro
continuava a riversarsi sul pavimento.
Un conato di vomito
mi salì alla gola e dovetti piegarmi su me stessa per buttare fuori
dallo stomaco quello che avevo mangiato poco prima.
Finito di rimettere,
mi misi seduta con le spalle contro la cucina iniziando a tastarmi la
fronte che pulsava dolorosamente. Una buona quantità di sangue era
uscita dalla ferita sporcandomi i capelli e scendendo lungo il collo
fino a macchiare la maglietta del pigiama.
Mentre ero ferma a
valutare tutti i danni che mi ero fatta e cercavo di calmare il
terrore che minacciava di assalirmi ancora dopo che l’adrenalina
l’aveva calmato, sentii nuovamente delle risate: altre stacies
erano in arrivo.
Guardai terrorizzata
verso la porta del salotto, non sentivo alcun rumore, cosa era
successo a mio padre?
Poi un movimento mi
spinse a guardare la porta sul retro: due zombie stavano venendo
verso di me pronte ad attacare.
Non potei far altro
che gridare ancora quando le due mi si scagliarono contro chiudendo
gli occhi incapace di guardare, ma non sentii mai le loro mani su di
me. Sentii solamente un forte tonfo e poi un rumore strano, come di
roba stracciata e spezzata insieme, e ruggiti.
“Bella?” mi
sentii chiamare dalla voce del mio angelo prottettore.
Riaprii gli occhi e
me lo ritrovai di fronte visibilmente preoccupato: “Bella, tutto
bene?”
Annuii tremante:
“Mio padre…” cominciai, ma lui mi blocco le parole sul nascere.
“Sta bene, se ne
stanno occupando gli altri, ora…” mi spiegò, ma venne interrotto
dalla voce di Emmett: “Dobbiamo andare Edward.”
“Arrivo.”
Rispose al fratello per poi rivolgersi a me: “Ora ti porto al
sicruo Bella, sei al sicuro con me.”
Mi prese in braccio
e l’ultima cosa che percepii prima di cadere nell’incoscienza, fu
l’aria fresca della notte che sferzava il mio viso.
***
Quando riemersi dal
buio della mia mente, non mi trovavo piu in un luogo aperto, ero
chiaramente all’interno di un edificio e dall’odore che percepivo
intuii subito dove.
Ero distesa su una
superficie morbida e calda coperta con una trapunta pesante, un
letto? No, doveva essere il divano della stanza di Edward.
Volevo aprire gli
occhi, ma la stanchezza che ancora mi sentivo addosso me lo impediva.
Così provai a sentire eventuali rumori provenienti dal resto della
casa: l’unico che riuscivo a percepire anche se indistintamente era
il vociare della televisione nel salotto del piano terra. Dov’erano
i Cullen? Dov’era Edward? Poi mi diedi della sciocca pensando a
come i vampiri sapessero essere silenziosi.
Usando molta forza
di volontà, aprii gli occhi e le mie ipostesi furono confermate: ero
nella camera di Edward.
Ero sola. La
finestra alle mie spalle era aperta e da essa entrava una dolce
brezza fresca come a voler accompagnare delicatamente il mio
risveglio. Spostando la coperta, diedi uno sguardo al mio corpo e
vidi che insossavo una leggera camicia da notte in… seta? Forse me
l’aveva fatta indossare Alice. La stanza era perfettamente
immobile, non vi era alcun segno del passaggio di una persona se non
del mio a causa del coprilletto tutto arrotolato ai piedi del divano
dal quale misi giu i piedi.
Nel movimento di
alzarmi, mi prese una fitta alla testa riportandomi così alla mente
i ricordi della notte precedente… ma era stata la notte precedente,
vero? Ricordavo benissimo Jessica diventata oramai una stacy
attacarmi famelica, io che la colpivo incessantemente con la latta
trovata in cucina, il suo corpo immobile circondato dal suo stesso
sangue…
Mi portai una mano
alla fronte dove sapevo avrei trovato il taglio che mi ero procurata
cadendo, ma venni bloccata da uno spesso strato di bende, Carlisle
doveva avermi curata.
Poi all’improvviso
un pensiero mi colpì: mio padre!
Dov’era? Cosa gli
era successo? Stava bene?
Decisi allora di
scendere al piano inferiore per avere sue notizi, ma appena mi alzai
dal divano mi sentii le gambe molli e la stanza cominciò a girare in
tondo intorno a me, dovevo aver perso piu sangue di quello che
credessi. Raggiunsi a fatica la porta che dava sul corridoio del
terzo piano che aprii appoggiandomi subito allo stipite per
sostenermi. Forse non avrei dovuto alzarmi subito, avrei dovuto
abituarmi un po’ per volta, ma oramai la cosa era fatta.
Quando mi staccai
dal muro per riprendere a camminare, Edward spuntò dalle scale in
fondo al corridoio, si voltò subito verso di me e, vedendo che ero
debole, venne in mio soccorso.
“Bella!” esclamò
correndo a sostenermi mentre le mie gambe cedevano: “Perché ti sei
alzata dal letto, sciocca? Devi risposare.”
Afferrai il suo
braccio stringendo la sua camicia tra le dita: “No, devo vedere mio
padre. Devo sapere come sta.”
“Bella, ora devi
solo pensare a riprenderti, non ti devi preoccupare d’altro.”
Perché non mi aveva
tranquillizzata come era suo solito fare? Perché non mi aveva detto
che stava bene?
“Edward, devo…”
provai a dire, ma lui mi prese alla sprovvista sollevandomi da terra
tornando indietro nella sua stanza dicendo: “Non dire niente, ora
devi solo risposare.” E mi mise di nuovo stesa sul divano
coprendomi con il copriletto mentre lui si inginocchiava accanto.
“Edward, non
cambiare discorso, voglio sapere cosa è successo a mio padre.”
Dissi perentoria anche se il mio tono stanco sortiva poco effetto.
Fortunatamente, in
quel momento entrò nella stanza Carlisle che portava con se la
valigiettà del suo lavoro.
“Come stai?”
chiese inginocchiandosi accanto al figlio con un sorriso.
“Sto bene
Carlisle, voglio solo sapere…” cominciai a dire, ma Edward mi
parlò sopra: “Ha provato a venire giu di sotto, ma si reggeva poco
in piedi, non deve essersi ancora ripresa completamente dalla forte
emoragia.”
“Perché non
volete rispondermi su mio padre?” provai nuovamente senza però
ottenere alcun risultato.
“Probabilmente hai
ragione.” Rispose al figlio iniziando a fare i controlli di
routine, per poi rivolgersi a me: “Dovrai riposare ancora Bella,
non devi stancarti o agitarti, sei ancora debole.”
“Bene allora
rispondete alla mia domanda!” mi ritrovai, senza volerlo, a gridare
attirando i loro sguardi confusi. Presi un profondo respiro:
“Scusate, ma continuate a ignorarmi. Voglio sapere cosa è successo
a mio padre.” Dissi con tono fermo.
I due si scambiarono
uno sguardo, poi a prendere la parola fu Carlisle: “Se l’è vista
brutta, aveva numerose ferite molto profonde. Era riuscito a
difendersi bene, ne ha uccise parecchie, ma non è bastato. Quando
sono arrivato, gli erano sopra.”
Trattenni il respiro
spaventata: “Ma ora… sta…?” provai a chiedere, ma la voce mi
si spezzò.
“E’ vivo,
Bella.” Mi cercò di tranquillizzare Edward, ma la vicenda mi aveva
sconvolta.
“Come… sta…
ora?” chiesi guardando Carlisle negli occhi sapendo che, non per
cattiveria, il mio ragazzo mi avrebbe mentito.
“Non ha ancora
ripreso conoscenza, ma la situazione è stabile. Sono riuscito a
curare tutte le ferite. Possiamo dire che, nella sfortuna, è stato
fortunato che non abbiano reciso nulla di importante o nemmeno il mio
intervento avrebbe potuto salvarlo.” Rispose da medico con tutta
onesta. Edward in cambio gli riservò un’occhiata contrariata.
Rimasi in silenzio
cercando di assimilare quello che mi avevano detto: mio padre era
vivo, gravemente ferito, ma vivo. Chiusi gli occhi per cercare di
ricacciare indietro le lacrime che stavano per fuoriuscire.
“Posso vederlo?”
chiesi cercando di controllare la mia voce con poco successo.
“Bella, non…”
iniziò Edward, ma suo padre lo blocco con un gesto della mano.
“Bella, se vuoi ti
posso portare da lui, è qui a casa nostra, ma non sei in forma
nemmeno tu. La ferita che ti sei procurata alla testa non è uno
scherzo e hai perso molto sangue. Riposati, intanto tuo padre è
ancora incosciente. Quando starai meglio potrai andare da lui.”
Concluse con la calma che lo contrastingueva.
“Ma…” provai a
ribattere, senza successo.
“Se Charlie
dovesse svegliarsi prima che tu gli abbia fatto fisita, te lo faremo
sapere e potrai vederlo. Siamo d’accordo?”
Avevo scelta?
“D’accordo.”
Annuì sorridente e
soddisfatto. Notai che anche Edward era contento del successo
ottenuto dal padre.
Finito di
controllare che la ferita alla testa stesse guarendo come si deve, ci
lasciò soli dicendo che aveva un appuntamento importante con il
sindaco di Forks.
Passarono alcuni
secondi di silenzio totale durante i quali Edward prese a giocare con
le dita della mia mano destra.
“Quanto tempo è
passato?” chiesi fissando le nostre mani.
“Non molto, un
giorno.” Rispose senza spostare lo sguardo.
Annuii solamente. In
quel momento non volevo pensare… Non volevo ricordare la notte
orribile che avevo trascorso nella cucina di casa mia… Non volevo
ricordare il volto mostruoso di Jessica… Non volevo pensare a
quello che era successo a mio padre… Non volevo pensare, punto e
basta….
Ma non ci riuscivo.
“Ho avuto molta
paura quando ho ricevuto il tuo messaggio.” Ammise Edward alzando
per la prima volta lo sguardo su di me e leggevo nei suoi occhi
quanto veramente si fosse spaventato la sera prima: “Avevo paura di
non arrivare in tempo.”
Posai una mano sulla
sua guancia sorridendogli: “Ma sei arrivato, questo è
l’importante.”
Appoggiò la sua
mano sulla mia voltando leggermente il viso da poter poggiare il naso
sul palmo ed inspirare forte: “Ma se non ce l’avessi fatta… se
non fossi arrivato… io…”
“Shhh.” Spostai
la mia mano sulle sue labbra per farlo smettere di parlare: “Ora
basta. Tu sei arrivato in tempo, mi hai salvato la vita. Questo è
ciò che conta, non pensiamo a come sarebbe potuta andare a finire.”
I nostri occhi erano
oramai incatenati tra loro e l’avvicinarsi dei nostri visi fu
inevitabile.
“Ho avuto paura di
perderti.” Mormorò mentre stringeva il mio volto tra le mani.
“Ho avuto paura di
non farcela.” Ammisi rabbrividendo.
Le nostre labbra si
incontrarono dopo quelle poche parole e passammo il resto del tempo a
coccolarci.
***
Mi risvegliai che
era oramai sera, fuori dalla finestra ora chiusa non si vedeva
niente.
Ero ancora
appoggiata al petto di Edward avvolta nella coperta mentre un suo
braccio mi stringeva a lui accarezzandomi la schiena.
“Buon giorno.”
Mi salutò: “Anche se sarebbe piu corretto dire buona sera.”
“Ho dormito
tanto?” chiesi ancora assonnata.
“Un po’, ma
avevi ancora bisogno di riposo, ti ha fatto bene.”
Non mi mossi di un
millimetro inspirando con naso e beandomi del suo fantastico profumo:
“Vorrei rimanere così per sempre.”
Sorrise stringendomi
maggiormente a se: “Non dispiacerebbe nemmeno a me.” Disse prima
di baciarmi la testa: “Ma credo che tu voglia vedere tuo padre.
Alle sue parole, mi
sollevai leggermente: “Si è svegliato?” chiesi guardandolo in
viso ricevendo in cambio un cenno di assenso.
“Non molto prima
di te e direi che si è ripreso piu che bene dalle ferite.”
“Posso vederlo?”
chiesi in ansia.
“Certo.” Mi
rispose facendomi alzare a sedere delicatemente e seguendomi: “Li
ci sono alcuni vestiti che ti ha portato Alice. Vestiti e poi andamo
da Charlie.”
Si rimise in piedi e
si diresse alla porta: Ti aspetto fuori.”
Quando si fu
richiuso la porta alla spalle, mi misi in piedi e infilai la gonna e
il top che mi aveva portato quella matta di Alice dandomi una
sistemata veloce anche ai capelli puliti, sicuramente quel folletto
mi aveva anche ripulito quando ero stata portata in casa.
Raggiunsi Edward in
corridoio che sorridendomi mi prese per mano trascinandomi verso le
scale per raggiungere il secondo piano dirigendoci verso la seconda
porta a destra.
“Pronta?” mi
chiese guardandomi con attenzione e, convinto dal mio cenno, bussò
per poi aprire la porta.
“Buona sera
Charlie, ha un visita.” Disse gentile rivolto alla persona
semisdraiata sul letto appoggiato al muro.
Mio padre era
bendato sulle spalle, sul torace e sulle braccia, almeno quelle erano
le bende che ero in grado di vedere fuori dalle lenzuola.
“Papà.” Lo
chiamai prima di corrergli incontro lasciando la mano di Edward e
abbracciarlo con attenzione.
“Bella.” Mi
chiamò con felicità riccambiando l’abbraccio anche se con una
stretta piu debole: “Ero preoccupato per te, stai bene?” mi
chiese sfiorandomi le bende sulla fronte.
“Si, tutto bene.
Di sicuro sono messa meglio di te.” Dissi sedendomi accanto a lui.
“Mi riprenderò.”
Rimasi accanto a lui
per parecchio tempo rassicurandolo sul fatto che stavo bene mentre
Edward tornò al piano di sotto.
Quando risalì era
con Carlisle che diede una rapida occhiata alle ferite di mio padre
prima di dire: “Purtroppo non possiamo lasciarti riposare, Charlie.
Tutta la cittadinanza è stata convocata nella palestra della scuola
e la tua presenza è richiesta soprattutto dopo quello che è
accaduto l’altra notte.”
Sia io che Charlie
lo guardammo confusi attirati dal tono grave della sua voce.
E allora ci spiegò:
“La situazione è peggiorata ancora.”
***
*Storia presente anche su EFP
Nota Autore:
Eccomi qui con il terzo capitolo di questa storia, scusate se ci ho messo tanto, ma ero intenta a scrivere quella nuova sugli Avengers. Spero vi sia piaciuto il capitolo!
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