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Stacy - Secondo Capitolo (Twilight FF)

I rumori contro la porta erano leggeri, ma insistenti e costanti, alcuni erano raschianti altri colpi secchi.
Mio padre capì cosa stava succedendo e scatto in piedi: “Nasconditi in cucina Bella.” Mi disse serio mentre tastava con il braccio sano alla cieca il mobile poco distante da noi alla ricerca del cassetto con la pistola .
“Ma papà, il tuo braccio…” cercai di protestare, non volevo lasciarlo solo.
“Non voglio sentire ragione, vai!” esclamò spingendomi in direzione della cucina mentre stringeva le dita intorno all’arma e la puntava alla porta.
Non dissi altro ed indietreggiai lentamente fino a passare la soglia tra le due stanze e, dopo aver visto mio padre posizionarsi accucciato dietro il divano, chiusi la porta con uno strattone senza però dare giri di chiave, volevo che mio padre avesse la possibilità di raggiungermi.
Raggiunsi l’angolo opposto alla porta, quello vicino alla dispensa che aveva una piccola rientranza nel muro, mi sedetti a terra e portai le gambe al petto cingendole poi con le braccia. Tesi l’orecchio per capire cosa stesse accadendo nel salotto, ma l’unico rumore che sentivo era il costante battere contro la porta. Cosa aveva in mente mio padre? Soprattutto con il braccio in quelle condizioni?
In quel momento suonò il cellulare e, guardato rapidamente il nome sul display, risposi: “Pronto?”
“Bella?! Che succede?” chiese Edward preoccupato.
“Sono qui, Edward, sono qui intorno alla casa.” La voce mi tremava per la paura: “C’è mio padre che vuole tenerle a bada, ma non so per quanto ci riuscirà una volta entrate.”
“Bella, ora calmati, stiamo arrivando, vi veniamo a prendere.” Disse con tono deciso.
“Fate presto per favore o altrimenti….” Ma mi interruppi presa alla sprovvista da un rumore improvviso: il cigolare di una porta.
Il sangue mi si gelò nelle vene quando sporgendomi leggermente notai che la porta in questione non era quella comunicante con il salotto, non si trattava di Charlie.
Trattenni il fiato spaventata ignorando completamente la voce di Edward che, dopo avermi chiamata a lungo, imprecava contro non so chi.
Fu allora che la sentii di nuovo.
“Ahahahah…”
Quella risata era piu inquietante di qualsiasi grido disumano. Non era distante, come se provenisse dall’altra parte della stanza… proveniva dalla porta di servizio. Mi ero dimenticata di controllare se era chiusa prima di nascondermi.
“Ahahahah…” e con la risata dei passi, dei passi scomposti, pesanti e trascinati come se a ogni passo posasse nuovamente i piedi per terra solo per la forza di gravità.
Allungai nuovamente il capo oltre il mobile dietro il quale mi ero nascosta e vidi un ombra che si rifletteva sul pavimento, un ombra incurvata su se stessa… un ombra che si stava muovendo nella mia direzione.
“Ahahahah…” Quella risata era sempre piu vicina, ad ogni passo strascicato il mio respiro aumentava di velocità. Si sentivano altri rumori in sottofondo: colpi contro il legno, schianti secchi e poi…
Uno sparo.
Fu uno sparo a risuonare sopra la risata inquietante. Uno sparo proveniente dalla camera accanto. Un colpo partito sicuramente dalla pistola di mio padre: erano entrate.
Pregai con tutta me stessa che Edward si sbrigasse ad arrivare o non so cosa avrebbe trovato al suo arrivo.
Intanto la mia mano iniziò a tastare il terreno verso il ripostiglio alle mie spalle alla ricerca di qualcosa da poter utilizzare come arma. Trovai pacchi di pasta, sacchetti di pane, tonno sott’olio, olive, ma nulla di abbastanza pesante da poter far male. Poi la mia mano sfiorò qualcosa di molto grande che constatai, con una rapida occhiata, essere una latta grande e pesante e, senza prestare attenzione al contenuto, la portai vicina a me per poterla usare in qualsiasi momento.
All’improvviso la risata, che si era fatta sempre piu vicina, si interruppe ed io facendomi coraggio mi spinsi leggermente in fuori per guardare meglio la posizione dell’intrusa cercando anche di capire il motivo per cui si era arrestata.
Continuavo a muovermi lentamente in avanti per avere una visione sempre piu ampia della stanza, ma di lei nemmeno l’ombra. Come era possibile?
Uscii completamente con la testa fuori dal mio nascondiglio, guardai verso sinistra e…
“AHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!” gridai in preda al terrore sbilanciandomi all’indietro ritrovandomi così sovrastata dall’intrusa.
La posizione del suo corpo era abbastanza innaturale per una persona qualunque: una delle due gambe non rimaneva diritta ma il ginocchio piegava verso l’interno, la schiena era inclinata verso destra, le spalle ricurve in avanti, la testa sollevata quel tanto che bastava per guardarmi. Il viso, che una volta era appartenuto a Jessica Stanley, era privo di espressione se non per un ghigno senza alcun sentimento sulla bocca semi aperta, gli occhi famelici fissi su di me.
Era diventata anche lei una di loro…
Era stata colpita anche lei dal virus…
Era anche lei una stacy…
Era anche lei uno zombie!
 
-Mesi prima, a scuola durante la pausa pranzo-
“Che succede Angela, sembri giu di morale.” Dissi alla mia amica seduta al tavolo della mensa insieme a me.
Era una bella giornata di sole quel giorno, cosa alquanto insolita per Forks, e per quello Edward ed Alice non erano venuti a scuola.
“In effetti sono molto preoccupata per mia cugina.” Ammise dopo alcuni attimi di silenzio.
“Come mai?”
“Sono giorni che non viene a scuola e quando ho chiamato a casa sua, i miei zii mi hanno detto che si era presa l’influenza, ma non mi hanno lasciato parlare con lei senza darmi una buona ragione.”
“E’ strano.” Constatai.
“Gia, in piu quando sono andata a casa loro per farle visita, mi hanno cacciata via in malo modo dicendomi che non era in condizioni di ricevere visite. Ed è stato allora che mi sono preoccupata seriamente, vuol dire che non è semplice influenza che la fa stare male, ma i suoi genitori non vogliono parlarne e i miei credono che mi stia facendo troppe paranoie. Non so cosa fare.”
Guardai bene in viso la mia amica e vidi quanto veramente ci stesse male sentendosi incapace di aiutare sua cugina.
Sua cugina Mary era di due anni piu piccola di noi ed era cresciuta insieme ad Angela, erano molto legate, se una stava male, l’altra soffriva con lei.
“Sai cosa facciamo oggi dopo le lezioni? Andiamo tutt’e due a casa di Mary e convinciamo insieme i tuoi zii a lasciarcela vedere o a parlarci del problema. Sei d’accordo?” chiesi tentando di tirarle su il morale.
“Lo faresti davvero?” chiese speranzosa per poi incupirsi di nuovo: “No, non posso chiedertelo, probabilmente oggi avrai un appuntamento con Edward, non posso permetterti di dargli buca.”
“Puoi stare tranquilla, oggi non avevo in programma di vederlo, non sapeva nemmeno quando sarebbe riuscito a tornare dalla gita con la sua famiglia.” Non era propriamente vero, ma con lui mi sarei arrangiata dopo per telefono, avrebbe sicuramente capito il mio desiderio di aiutare Angela.
“Oh grazie Bella!” esclamò abbraciandomi di slancio facendoci quasi ribaltare con le sedie e scoppiammo entrambe a ridere.
 
“Eccoci arrivati.” Disse Angela mentre suonava il campanello di una piccola villettina dagli esterni bianchi e rossi  in piena Forks. La porta di ingresso era riparata da un piccolo portico.
La portà si aprì quasi subito e ne fece capolino una donna minuta, sulla quarantina, con i capelli lunghi e biondi, gli occhi azzurri. La bellezza che le era appartenuta per anni, cominciava a dare segni di cedimento in alcuni punti soprattutto intorno agli occhi.
“Buongiorno zia.” La salutò la mia amica: “Sono venuta con la mia amica Bella per avere notizie di Mary e poterla magari vedere, è tanto che non le parlo.”
“Angela mi dispiace, ma Mary non può ancora vedere nessuno.” Disse la madre di Mary e dal tono e dalla sua espressione si potevano intuire le notti insonni passate ad accudire la figlia e la preoccupazione che provav per lei.
“Ma zia sono giorni che sta in queste condizioni, forse dovreste portarla all’ospedale, sono sicura che il dottor Cullen saprebbe…”
“NO!” gridò in preda al panico per poi riprendere il controllo e dire con piu calma: “Non ce n’è bisogno, il dottore è stato gia qua e ci ha dato le cure da darle.”
“Ma signora” intervenni io: “Sono sicura che a sua figlia farebbe piacere poter vedere delle facce amiche oltre alla sua e a quella di suo marito, le tirerebbe un po’ su il morale.”
“Non credo che vi riconoscerebbe.” Mormorò tra se credendo di non essere sentita.
“Sta così male?” chiese sempre piu preoccupata Angela.
La madre di Mary non rispose subito, guardava un punto indefinito oltre la spalla della nipote. Poi sospirò e ci guardò entrambe: “D’accordo, vi faccio entrare, ma solo se promettete di non fare parola con nessuno di quello che vedrete.”
Confuse, io e Angela ci scambiammo uno sguardo prima di annuire e seguire la signora all’interno della casa.
L’arredamento era molto elegante e classico, tutto meticolosamente in ordine e senza il minimo granello di polvere. Erano degli ambienti molto luminosi e spaziosi, una casa in cui veniva proprio voglia di vivere.
“Hai sentito?” mi sussurrò all’orecchio Angela ed io la guardai interrogativa. Mi fece segno di ascoltare.
Subito non capii a cosa si riferisse, non sentivo niente, ma poi… sentii come dei lamenti, sembrava che qualcuno stesse soffrendo molto. Mary?
“Zia, la stanza di Mary è dall’altra parte della casa.” Disse confusa Angela ed io spostai la mia attenzione sulla madre di sua cugina.
“Mary non può stare nella sua stanza.” Si limitò a dire la signora prima di aprire una porta che dava sulle scale per il seminterrato: “Da questa parte.”
Sia io che Angela eravamo sempre piu confuse, perché il seminterrato?
Quando mi richiusi la porta alle spalle, riuscii a distinguere meglio quei gemiti che avevo sentito attutiti in casa: non erano gemiti di dolore, era una risata, una risata spensierata, ma con qualcosa di inquietante al tempo stesso.
“Zia?” la chiamò incerta Angela con una nota di paura nella voce quando arrivammo ai piedi della scala in legno, ma lei indicò un angolo buio della cantina senza però muoversi: “E’ li.” Disse: “Non avvicinatevi troppo però.”
Angela, dopo aver guardato sua zia senza capire, mi prese per mano e insieme ci avviammo nella direzione indicataci.
“Mary?” chiamò la mia amica, ma in risposta ebbe solamente un’altra risata: “Mary, stai bene?”
Tutto quello che i miei poveri occhi erano in grado di vedere nel buio dello scantinato, non avevo capito perché non era stata accesa la luce, era un piccola sagoma seduta contro la parete che ogni tanto tremava in contemporanea alla risata.
Al suono della voce di Angela, la sagoma si mosse di scatto, forse aveva alzato il viso nella nostra direzione, poi iniziò a muoversi… forse si stava alzando in piedi.
“Mary come stai cuginetta?” chiese in ansia Angela facendo un passo avanti.
“Ferma Angela!” la richiamò sua zia giusto in tempo perché Angela non facesse il passo che stava per fare.
Con un ruggito spaventoso, sua cugina si scaglio contro di noi che per lo spavento cademmo all’indietro. Mary non riuscì a raggiungerci solamente perché aveva una pesante catena intorno al collo che la teneva bloccata contro il muro.
Quando guardai meglio Mary capii il perché delle catene: non era umana. Lo sguardo famelico, il ghigno che le storpiava il volto, la pelle pallidissima, tutto tradiva la mancanza di umanità in quel corpo che un tempo era stato la cugina di Angela.
Con la coda dell’occhio, vidi che la mia amica aveva notato le stesse cose e fissava con orrore la cugina che continuava a sforzare  la catena graffiandosi il collo da cui cominciava a colare del sangue con la chiara intenzione di raggiungerci per… fare cosa? 
“Che… che cos’è… quella cosa?” chiese terrorizzata Angela.
“E’ Mary.” Mormorò la donna avvicinandosi a noi, gli occhi vitrei come persa in un ricordo lontano: “E’ cominciato tutto due settimane fa: era appena tornata da scuola. Mio marito era in ferie e quando lei rincasò eravamo tutti e due sul divano a guardare la televisione. Stavamo tranquillamente parlando di quello che era successo a scuola, dei suoi nuovi voti, quando all’improvviso ha inarcato la schiena con un gemito strozzato e si è accasciata a terra. Siamo immediatamente corsi ad aiutarla. Tentai di svegliarla in ogni maniera: scuotendola, bagnandola con dell’acqua, con degli odori forti, ma non c’era nulla da fare. Allora mio marito l’ha presa in braccio e l’ha portata in camera sua dicendomi di prendere una bacinella d’acqua e uno strofinaccio, dovevamo aspettare che si riprendesse da sola. Feci come mi aveva detto, presi tutto l’occorrente per rinfrescarle la fronte e corsi al piano superiore entrando nella stanza. –ho portato l’acqua- dissi trafelata a mio marito, ma lui non rispose.” 
La signora si asciugò una lacrima fuggita al suo controllo con la punta di due dita: “Ricorderò per sempre l’espressione sul viso di mio marito quel giorno: non aveva espressione, come se di colpo tutte le emozioni, belle o brutte che fossero, fossero state risucchiate dal suo corpo. –caro?- lo chiamai avvicinandomi a lui e posando a terra la baccinella d’acqua. –non c’è polso- furono le uniche parole che disse, ma bastarono per bloccarmi sul posto. Non ci volevo credere, non poteva essere che mia figlia fosse… No, non poteva essere. Tastai piu e piu volte il polso e il collo di Mary, ma non sentii mai il battito. Così iniziai disperata a fargli il massaggio cardiaco per tentare di rianimarla… mi fermai per la stanchezza credo. Tutto ciò che ricordo delle ore che seguirono quel momento terribile è un dolore acuto al petto, incapace di credere che mia figlia non ci fosse più.”
Prese una pausa da quel terribile racconto chiudendo un momento gli occhi nel tentativo di controllare le lacrime che minacciavano di cadere lungo le sue guance, prima di riprendere: “A ridestarci fu un movimento, un guizzo che ebbe la mano di Mary. –John guarda!- gridai colma di speranza, si stava muovendo, era viva. Piano piano cominciò ad alzarsi anche se con movimenti decisamente scordinati. La sostenni immediatamente per le braccia dicendole di stare calma e di non stancarsi troppo, ma lei… mi morse la mano.” 
Spalancai gli occhi per lo stupore misto a terrore: “Le morse la mano?” chiesi incerta.
“Si. Io la tirai indietro immediatamente, ma lei non appena si riusci a mettere in piedi ci attaccò di nuovo e solo l’intervento di mio marito l’ha bloccata. Era come impazzita, non ci riconosceva, sembrava una belva assetata di sangue. Eravamo spaventati e non sapevamo che fare, così inizialmente la chiudemmo nella sua stanza andando da lei solo per portarle da mangiare, ma non toccava mai il cibo, voleva solo attacarci. Poi per paura che qualcuno potesse accorgersi di qualcosa, la portammo qua sotto dove tutto ciò che fa è stare accucciata e ridere in quella maniera. Non siamo ancora riusciti a capire cos’abbia.”
“Avete parlato con un medico?” chiese Angela sconvolta tanto quanto me.
Sua zia scosse la testa: “Qualsiasi medico direbbe che è pazza e la farebbe rinchiudere da qualche parte, ma lei non è pazza, c’è qualcosa che l’ha cambiata. Sembra quasi che sia diventata uno…”
 
“…zombie. Pare sia questa la conseguenza di questo nuovo virus che dal giappone si sta sempre piu velocemente diffondendo nel mondo intero. Non si sa bene cosa sia stato a generarlo, comunque questo virus sembra colpire solamente le ragazze tra i 15 e 19 anni uccidendole immediatamente e dopo un lasso di tempo indeterminato esse si risvegliano trasformate in mostri. Questi esseri sono stati soprannominati- stacy-.
Le forze dell’ordine di tutto il mondo si stanno organizzando per contrastare tutte le mostruose creature oramai nate, mentre i ricercatori piu rinomati stanno cercando una cura o un vaccino. Inoltre…” ma in quel momento spensi la tv, ne avevo abbastanza di quelle brutte notizie che mi riportavano alla mente il giorno in cui avevo visto Mary in quelle condizioni.
Appena la notizia della comparsa di questo strano virus fu diffusa, raccontai a mio padre della cugina di Mary e si venne a sapere che non era l’unica ragazza caduta vittima dela malattia, anche due della riserva di La Push. Furono tutte e tre uccise con un colpo alla testa, per il momento non vi erano alternative.
Le scuole erano state chiuse, uscire di casa si faceva solo se strettamente neccessario e rigorosamente al sicuro in un mezzo di trasporto. In ogni luogo pubblico, vi erano due o tre poliziotti che proteggevano da eventuali attacchi.
La notte venivano organizzati gruppi di ricognizione per uccidere tutti gli zombie che col buio attaccavano in massa. I lupi mannari della riserva come Jacob uscirono allo scoperto per poter dare man forte nella protezione della popolazione.
Inizialmente i casi erano isolati, ma col passare del tempo il numero di vittime diveniva sempre piu alto, a Forks eravamo rimaste in poche sotto i vent’anni, ma nonostante la caccia notturna i mostri sembravano ad aumentare.
Edward non mi perdeva mai di vista, stava sempre in casa con me, mi accompagnava a fare la spesa tutte le volte che poteva e il piu delle volte mi trascinava a casa sua.

La paura era dilagata tra la popolazione, attanagliava tutti quanti.
Sembrava di essere in un film dell’orrore… solo che quella era la realtà!
 
Il corpo di Jessica fu scosso da un tremore mentre dalla sua bocca semi aperta fuoriusciva quella risata inquietante.
Poi ruggì e mi si scagliò addosso.



***


*Storia presente su EFP

NOTE Autrice:
Ed ecco il secondo capitolo, ci addentriamo un pò di piu nel horror anche se non sono molto brava nello scrivere questo genere di scene, ma spero di aver reso l'idea.
Se la storia vi piace, lasciate un commento, mi farebbe piacere cosa pensate!

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